Non servono più per la riproduzione e, auspicabilmente, nemmeno come cavie da laboratorio. Per tutta la loro vita sono stati trattati come «merce», a tremila dollari l’uno. E sono stati spediti come pacchi nelle stive degli aerei in viaggi intercontinentali.
Il destino loro, o dei loro figli, era di finire immobilizzati in piccole gabbie di aziende farmaceutiche o cosmetiche sparse per il mondo, ma principalmente in Giappone, Stati Uniti, Cina, a sperimentare intrugli tossici iniettati nelle loro vene o spalmati sulla loro pelle, e a farsi prelevare quotidianamente il sangue per verificare gli effetti. In pochi potrebbero consolarsi sapendo di aver salvato, con il loro sacrificio, molte vite umane. La maggioranza, secondo le associazioni in difesa degli animali, hanno contribuito tutt'al più al miglioramento delle creme anti età o agli ombretti ipoallergenici.
STOP SPERIMENTAZIONI - Ora per quasi duemila macachi dell’allevamento israeliano Mazor Farm sembra arrivata la conclusione dei tormenti: il governo di Gerusalemme ha deciso di mettere fine, dopo vent’anni, all’attività dell’unico allevamento di scimmie, a scopo sperimentale, del paese: da gennaio nessun cucciolo di macaco viene più staccato senza pietà dalla madre per essere inviato in una cassa a istituti di ricerca, come il nippo-statunitense Shin Nippon Biomedical Laboratories, uno dei principali clienti della Mazor Farm, con filiali in nord America, Cina, Giappone, Cambogia e un fabbisogno di tremila scimmie all’anno. Da Israele, a quanto pare, non ne arriveranno altri. Ma alle autorità si pone il problema di dove sistemare i quasi duemila macachi rimasti nelle gabbie dell’allevamento, dove rischiano di essere considerati come un ingombrante, costoso «avanzo di magazzino» da liquidare il prima possibile. Così il ministro per l’Ambiente Amir Peretz ha lanciato un appello internazionale per trovare rifugio a 700 esemplari, e alla procura generale perché autorizzi il trasferimento delle scimmie negli eventuali paesi d’accoglienza.
LE «MATRIARCHE» - Le loro origini sono all’isola di Mauritius, dove 650 di loro sono state catturate dai cacciatori e inviate in Israele come fattrici. Ma da Port Louis non c’è da attendersi un via libera per il loro rimpatrio: i macachi sono considerati una specie infestante. Gli altri 1246 sono nati in Israele e, finché la nuova legge non diventerà esecutiva (nel gennaio del 2015), sono teoricamente ancora a rischio di esportazione a fini sperimentali. Soltanto per 50 femmine anziane l’incubo sembra davvero terminato: il ministero per l’Ambiente ha trovato un accordo con Tamar Fredman, direttore di un centro per la riabilitazione dei primati a Ben Shemen, per ospitare le «matriarche», ormai non più fertili. Il racconto di Tamar Fredman è impressionante: abituate per anni a vedersi sottrarre i loro piccoli, le macache si stanno riprendendo gradualmente dai loro traumi e ritrovano piano piano fiducia negli umani e qualche gioia nella vita. Non sono più costrette in gabbie dal suolo di cemento, ma hanno a disposizione un compound pavimentato con la terra. Stabiliscono gerarchie e relazioni sociali fra loro. E basta poco per renderle felici: a ciascuna un giocattolo preferito da cui non separarsi mai, per sentirsi sicura, e per trovare un po’ di quiete.
VIAGGIO DI SOLA ANDATA - Negli ultimi vent’anni, secondo i calcoli del quotidiano Haaretz, 5.231 scimmie sono partite dall’allevamento israeliano per un viaggio di sola andata verso il loro infausto destino, generando un giro d’affari di 15 milioni di dollari. Ma, stando ai documenti della Mazor Farm, le importazioni da Mauritius si sono interrotte nel 2008. La nuova linea del governo, avviata dall’ex ministro per l’Ambiente, Gilad Erdan, e confermata dal suo successore, Peretz, mette fine anche le polemiche sui mancati (o pilotati) controlli dei sovrintendenti dell’Autorità israeliana per la natura e i parchi(Inpa): «Bisogna inculcare nell’opinione pubblica il concetto che non si fanno affari sulla sofferenza degli animali» ha sottolineato Eerdan, all’inizio della battaglia. Ora però si tratta di trovare un “buen retiro” per quasi duemila individui sopravvissuti o scampati alla schiavitù. «Missione difficile, ma non impossibile» promettono le autorità israeliane.
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